SAN DOMENICO DI GUZMAN

Sacerdote e fondatore dei Predicatori

Statua lignea di san Domenico di Guzman

venerata nella navata destra della Basilica

Nato a Caleruega nella vecchia Castiglia, da Felice di Guzman e da Giovanna d’Aza, nel 1171. Ancora fanciullo, era stato affidato allo zio Prete perché venisse introdotto nei primi elementi del sapere e alle Verità della Fede. Fin dalla sua giovanissima età – dicono i biografi – ardeva di uno sconfinato amore a Gesù. A 15 anni, passò a Palencia per frequentare le scuole – le arti liberali e la Teologia – nella città.
Al termine degli studi, fu ordinato Sacerdote ed entrò (1196-1197) nel Capitolo dei Canonici di Osma, per invito dello stesso Priore, Diego di Azevedo. Vita di studio e di preghiera, di raccoglimento e di celestiale purezza distinsero Domenico nei primi anni di Sacerdozio (e poi per sempre). Dante Alighieri che sentì, quasi cento anni dopo, il fascino di lui, pensando a questo periodo di silenzio, già scrisse: «Domenico fu detto; e io ne parlo / sì come de l’agricola che Cristo / elesse all’orto suo per aiutarlo» (Paradiso XII, 70-72).
Dio lo preparava a una grande missione. Quando nel 1201 Diego diventò Vescovo di Osma e subito dovette partire per un incarico in Danimarca, si scelse come compagno di viaggio lo stesso Domenico: nei dintorni di Tolosa, i due viaggiatori scoprirono il dilagare dell’eresia catara: dal nome della città di Alby, dove si erano insediati, gli eretici saranno in seguito chiamati “albigesi”.

Era, la loro, una collezione di gravissimi errori, radicati nella negazione dell’Incarnazione del Figlio di Dio, nel rifiuto fondamentale di Gesù, come Uomo-Dio. Domenico una notte discusse a lungo con l’oste che lo ospitava, un cataro, e lo convertì alla Chiesa Cattolica. Comprende che il bisogno di Verità in quella terra e nel suo tempo era grandissimo: decise con il Vescovo Diego di darsi alla loro conversione. Anche le popolazioni nordiche d’Europa (“i cumani”) ancora pagane lo spingevano a farsi missionario.
Scesi entrambi a Roma, nel 1206, Papa Innocenzo III orientò Domenico a dedicarsi alla conversione degli albigesi. Rimasto presto solo per la morte di Diego, Domenico non si ritirò di fronte all’impresa immane di affrontare degli avversari implacabili e agguerriti. Dante ne scriverà: «In picciol tempo, gran dottor si feo... / Poi con dottrina e con volere insieme, / con l’officio apostolico si mosse, / quasi torrente ch’alta vena preme» (Paradiso XII, 85, 97-99). In una parola, il “vir canonicus” che era stato fino ad allora, nell’osservanza di una regola di preghiera, si fece vir totus apostolicus. Uomo di apostolato, di predicazione, mai lasciando però la preghiera e la contemplazione, in una mirabile sintesi di vita e di azione.
Stabilitosi a Fanjeaux, in un’umile casetta (che c’è ancora), vivendo pressoché solo per circa dieci anni, dal 1206 al 1215, con pubblici dibattiti, colloqui personali, trattative, predicazione, opera di persuasione, preghiera e penitenza, soprattutto con l’autorevolezza di una vita intensamente conforme a Gesù solo, l’unico sconfinato Amore della sua esistenza, con la forza della devozione alla Madonna, Domenico portò a compimento un’opera straordinaria, che si impone agli avversari: “Incendiario di amore a Cristo” – come lo definirà Georges Bernanos – conquistatore di amore a Lui per amor suo.