IV DOMENICA DI PASQUA – A (Gv 10, 1-10)

Il pastore chiama le sue pecore per nome, perché le conosce una per una.
La questione delicata non è se Lui, il pastore, conosca le sue pecore; ma se le pecore conoscano e riconoscano la voce del loro pastore. In altre parole, noi conosciamo il Cristo?
Il discorso di Pietro alla casa d'Israele, nel giorno di Pentecoste, non è una ‘semplice' accusa rivolta a coloro che direttamente, o indirettamente condannarono e uccisero Gesù. Le sue parole sottendono un problema di ignoranza (degli Israeliti) nei confronti del Nazareno. Un'ignoranza che, paradossalmente, non è del tutto colpevole. Dico questo perché, in buona linguistica, si distingue tra ignoranza e nescienza: la prima allude a verità che è necessario conoscere, dunque, non conoscerle è colpevole. La nescienza riguarda invece verità che il soggetto non è tenuto a conoscere, dunque non conoscerle non è colpevole.
Al cap. 3 degli Atti degli Apostoli, Pietro dichiara esplicitamente: “Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi.” (3,17).
Nel caso della condanna a Gesù, c'è un importante aspetto da considerare, che complica la questione all'inverosimile e non consente di formulare un giudizio di colpevolezza tout court contro gli israeliti, ammesso che noi si possa giudicare qualcuno (cfr. Mt 7,1). L'elemento che pesa e pesa molto sulla questione-Gesù è la Legge di Mosè e, secondo la legge di Mosè, chi si fa Dio è reo di morte, per il crimine di bestemmia. Al cap.26 del suo Vangelo, Matteo scrive: “(...) Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico: D'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra di Dio, e venire sulle nubi del cielo.». Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte>>.
La prima lettura rivela la disponibilità di coloro che ascoltavano Pietro a seguire le sue indicazioni, manifestando il desiderio di una conversione radicale. “Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.” (At 2,41).
È ancora Pietro, nella sua prima lettera, a dichiarare che Cristo non commise alcun peccato, né ingannò nessuno: evidentemente la passione di Gesù aveva scatenato dure polemiche tra i suoi oppositori, ma anche tra i discepoli. E mentre i nemici della fede accusavano il Signore di bestemmia, alcuni discepoli - forse un po' tutti - manifestavano più di un sospetto che il Maestro di Nazareth li avesse ingannati, promettendo la salvezza, mentre poi era finito in croce nello spazio di un weekend.
Ricordiamo che nei giorni in cui Pietro predicava, la Risurrezione del Signore era conosciuta da pochi, limitatamente all'entourage degli apostoli. Certo, ai notabili del sinedrio e alle autorità del popolo non conveniva far trapelare la notizia, per evitare che la gente cambiasse nuovamente opinione sul conto di Gesù, e tornasse a credere in Lui.
È sempre Matteo a riferirlo: “Alcune guardie giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto. Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo «Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia.». Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.” (Mt 28,11-15). Quell''oggi' è da riferire agli anni in cui Matteo scriveva, fine del primo secolo (70-100 d.C.).
L’evangelista Giovanni ribadisce un'idea impotante: la fede in Cristo ci rende forti abbastanza per uscire dall'ovile, dai nostri luoghi di culto, dalle nostre famiglie cattoliche, dagli ambienti per così dire protetti e sicuri, e addentrarci nel mondo sociale, politico, economico, culturale, per cercare e trovare il nutrimento necessario. Perché il cibo per vivere, non è qui, non è dentro, ma fuori di qui, in giro per il mondo.
Se ci teniamo vicini a Cristo, nulla ci può spaventare, nulla può recare danno alla nostra fede e dunque a noi.
La parabola del buon pastore afferma che non bisogna temere il mondo, quello che Dio lo ha scelto per inviare il suo Verbo ad incarnarsi tra noi, uno di noi!
Se non si è vergognato Lui di scendere dal cielo e venire a vivere qui, perché dovremmo vergognarci noi e prendere le distanze dal mondo?
La Chiesa non sta fuori dal mondo, o meglio, il mondo non sta fuori dalla Chiesa. La Chiesa vive dentro il mondo e siamo noi che camminiamo con il Cristo. E così l'incarnazione progredisce in noi e con noi.
E il mistero dell'Incarnazione continua a darci vita e a darcela in abbondanza!