Innamorati e vivi: giornata di preghiera per i missionari martiri

INNAMORATI E VIVI
Riflessione tematica di don Michele Gianola
direttore dell’Ufficio nazionale
per la pastorale delle vocazioni
della Conferenza Episcopale Italiana



Curioso il gioco di accenti che il tema della Giornata dei missionari martiri apre alla nostra immaginazione: all’indicativo ci descrive uomini e donne che sono stati uccisi per quanto erano vivi, e lo sono ancora in quella Gerusalemme nuova che è la casa di tutti e che tutti ci attende. Anche di noi lo si può dire, non sempre; ma quando sentiamo la vita che ci appassiona, quando ne intuiamo la forza e gustiamo un amore ricambiato, intuiamo la bellezza che a loro ci accomuna: innamoràti e vivi. E come sarebbe bello poterlo essere tutta la vita!
Per noi, che ancora camminiamo, il tempo è quello dell’imperativo. Immaginiamo, così, di prendere l’accento dalla parola innamoràti e fare un passo indietro, come per tornare alla radice, alla sorgente, anticipiamo di una sillaba: è sufficiente saltare una lettera per sentire tutta la forza di una parola che spinge, sprona, incoraggia: innamòrati! È il grido che viene fin dal principio, inciso dal Creatore nel cuore dell’uomo a sua immagine in una benedizione di amore e fecondità. È il grido che prorompe – distorto dal peccato – nel bisogno di essere amati, riconosciuti, guardati e può portare a ferire, uccidere (Gen 4,9). L’amore – come ogni cosa importante della vita – cammina su un crinale, sempre in tensione tra la bellezza di donare e la capacità di ricevere; mai un termine senza l’altro, sempre nella giusta posizione. Innamòrati! È l’invito a scoprire la tua vocazione, perché la vita è fatta per essere spesa, donata, per amore di qualcuno; per niente di meno. Ora, lascia da parte per un attimo l’immagine che forse anche tu ti sei fatto della parola ‘vocazione’. Abbandona per un momento l’idea che questa parola sia sinonimo di ‘prete’ o ‘suora’ soltanto: non confondere subito ‘vocazione’ e ‘vocazioni’.
E sentine il sapore. Vocazione porta in sé la radice di una voce e tutti possiamo fare memoria delle volte in cui siamo stati chiamati e distinguerne i gusti differenti: quello del nostro nome pronunciato dai nostri genitori quando eravamo bambini, o dai nostri amici, o dalla persona di cui ci siamo innamorati. A volte il sapore è buono, altre volte ne sentiamo tutta l’amarezza. Vocazione è una voce che viene dalla storia, dai luoghi, dai posti, dalle persone. Perché Dio non parla da fuori ma da dentro la realtà. Tocca, allora uscire, andare, partire, cercare: non soltanto per ‘dare esperienze’, non soltanto per ‘aiutare qualcuno’ ma soprattutto per ascoltare ciò che sembra contenere una promessa per la nostra vita.
Lo insegna papa Francesco quando insiste: «Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: ‘Chi sono io?’. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: ‘Per chi sono io?’. Tu sei per Dio, senza dubbio. Ma lui ha voluto che tu sia anche per gli altri» (FRANCESCO, Christus vivit, 286). Per chi sono io è la risposta ad una parola udita all’orecchio del cuore, viene silenziosamente da una persona, una comunità, alcuni volti, un luogo abitato. Perché l’amore – la vita, la vocazione – è così: sempre per qualcun altro e sempre insieme a qualcun altro (Ct 2,16).

La propria vocazione non la si riconosce a tavolino, non calcolando il futuro o spaccandosi la testa come su una scacchiera immaginando la volontà di Dio come la soluzione di un rebus (cf. Christus vivit, 285).
No, la vocazione sorge come qualcosa di sorprendente, inaspettato, in un incontro che inizia a cambiare la vita rendendola più densa, più saporosa, più viva. La vocazione sorge da una realtà della quale ci si innamora e allora la si inizia a frequentare, la si visita spesso, sembra che non si possa più stare senza di lei; appare, come uno squarcio nel velo del presente che lascia intravvedere un futuro fino ad allora forse mai immaginato, né sognato, ma ricco di promesse, fecondo, vivo. Ecco.
Ora puoi tornare a fantasticare sulla vocazione e sulle vocazioni perché queste ultime si sono colorate della loro tinta migliore.
Sì, perché andando in missione, uscendo a servizio dei poveri, visitando gli ammalati, animando la vita della parrocchia, abitando il tuo luogo di lavoro, di studio o semplicemente di vita, ti potrai innamorare di una persona, di una comunità, di un ministero da compiere, di una missione da servire e se il tuo amore crescerà con il tempo, se attraverserà il deserto e diventerà concreto, stabile e corrisposto avrai scoperto gli argini dentro i quali versare tutta la tua energia perché non ristagni ma divenga un torrente forte capace di giungere alla foce e fecondare la vita. Così potrai ascoltare l’invito a diventare prete, a consacrarti, ad entrare in un monastero di clausura, costruire una famiglia, spendere tutta la tua vita da laico nella Chiesa: ciascuno al lavoro per rendere il proprio pezzetto di terra sempre più simile al cielo (Mt 6,10).
È questa la volontà del Padre. Ricorda, però, che la voce della realtà non è mai del tutto nitida e occorre purificare le parole, i sogni e le intuizioni per riconoscere se in essi c’è la voce di Dio, oppure no. Così, si tratta di uscire, andare, vedere, servire ma anche di fermarsi, sostare, ascoltare. Oggi, di questo, abbiamo molta paura perché corriamo sempre più veloci e sembra che rallentare sia come morire. Abbiamo paura di sostare perché non ricordiamo più – o ancora non abbiamo scoperto – che al fondo di noi stessi non ci sono il freddo, il buio, la solitudine ma lo Spirito di Dio che ci ama, sempre.
Lì sta la sorgente della vita viva, nei gesti e nella Parola di Gesù che spinge fuori, riscalda, guarisce dall’anima «i colpi ricevuti, i fallimenti, i ricordi tristi, le ferite delle sconfitte della propria storia, i desideri frustrati, le discriminazioni e ingiustizie subite, il non essersi sentiti amati o riconosciuti, il peso dei propri errori, i sensi di colpa per aver sbagliato» (Christus vivit, 83).
Tutto questo non ha mai l’ultima parola sulla nostra vita: «Cristo vive e tutto quello che tocca, diventa giovane, si riempie di vita» (Christus vivit, 1). E vuole coinvolgerti in questa sua missione di «illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare» (Evangelii gaudium, 273). Se lo sei stato/a tu, illuminato/a, benedetto/a, vivificato/a, sollevato/a, guarito/a di certo ti sei acceso/a di quella passione che è il motore che spinge a dare la vita.
È se c’è un martirio cruento e sanguinoso, ce n’è un altro che si consuma silenziosamente, giorno per giorno nella bellezza e nella fatica di amare (cf. Madeleine Delbrêl, La passione delle pazienze). Questa è la tua vocazione: innamòrati, allora! E vivi!